Quanto incide la notorietà sulle vendite?

Il pregiudizio influenza le nostre scelte molto più di quanto crediamo.

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Notorietà e vendite libri

Riporto di seguito una riflessione di Wallace Lee (da me ritoccata e corretta in alcuni punti non salienti) su un argomento molto dibattuto e spesso divisivo: quanto incide la notorietà di un autore o di un’autrice sulle vendite di un libro.

E quanto, invece, non dovrebbe farlo.

Di questo stesso argomento ne ho parlato anche in un altro articolo, a proposito di self-publishing.

Forse, qualche lettore storcerà un po’ il naso: in fondo, con un nome noto si va più sul sicuro. Tuttavia, quando si parla di “blind test” c’è poco da fare: le risposte non sono più soggettive, ma oggettive.

Personalmente, condivido ogni parola di questa bella riflessione, perché è autentica e dannatamente vera.

È talmente vera, che si può applicare praticamente a tutto: dalla scelta di un brano musicale, a quella di un abito o di una borsa, dal giudizio su una persona, a quello di un ristorante e così via.

Leggetela anche voi, soprattutto se siete solo lettori, non autori: il pregiudizio, molto spesso, prevale sul giudizio oggettivo.

Ma forse, chissà: dopo aver letto l’articolo vi ricrederete. O almeno, è quello che spero.


Io odio il fantasy.

L’ho sempre odiato e lo odio ancora. Non mi piace nemmeno Il signore degli anelli, non ho nessun problema ad affrontare una discussione dove spiego perché, secondo me, sia un po’ sopravvalutato.

Sette anni prima che cominciassero le riprese della serie TV Game of thrones un mio amico mi disse che c’era un fantasy che dovevo “provare” a leggere, nonostante la mia antipatia verso il genere.

«Fidati, Mars. Dagli una possibilità».

Quindici anni dopo, ho un autografo di George Martin in casa e la sua saga era diventata uno dei miei modelli irraggiungibili di scrittura.

Non c’è consenso scientifico sul valore letterario e probabilmente non ci sarà mai. Tuttavia, alcune certezze le abbiamo comunque. Una di queste è l’autosuggestione.

In critica letteraria sono famosi infatti i blind test, degli esperimenti fatti di tanto in tanto dalle università di tutto il mondo. E i risultati sono sempre gli stessi.

Un blind test consiste nel prendere dei lettori e dargli da leggere dei testi, senza però dirgli chi li ha scritti. Gli dai da leggere a tradimento sia dei capolavori, che dei pezzi scritti da Federico Moccia o da Fabio Volo (cioè, spazzatura).

Il risultato dei blind test è sempre lo stesso in tutto il mondo: non solo nessuno riesce a distinguere i “mostri sacri” della letteratura dalla spazzatura, ma peggio ancora, alla fine dell’esperimento ognuno ha un’opinione diversa dall’altro. Nessuno è d’accordo su nulla.

E quando alla fine gli dici chi erano davvero gli autori dei vari testi, tutti si mettono a dire «Colpa mia, non sono stato abbastanza intelligente da capire chi era l’autore o l’autrice». E cominciano a vergognarsi perché hanno preferito il pezzo di Moccia a quello di Jane Austen.

I blind test ci insegnano che se ami uno scrittore o una scrittrice prima ancora di leggerli (perché magari tutto il mondo li osanna) quando poi li leggerai, ti piaceranno ancora di più.

In sostanza, in letteratura, quello che credi di trovare, conta più di quello che troverai veramente.

Perché l’adorazione per un autore/autrice ti apre letteralmente la testa. Essere ben disposto (o mal disposto) verso l’uno o l’altra, cambia letteralmente tutto, mentre leggi.

Una prova classica di questo fenomeno è il rapporto che i fan accaniti hanno coi romanzi peggiori dei loro idoli.

Prendete The cell di Stephen King. Conosco fan del maestro che dicono che “non è male”, che è come dire che i film di Christian De Sica hanno un “certo valore”.

Allora mi chiedo: quand’è che un autore o un’autrice scrive veramente bene?

La mia risposta? Semplice: quando vuoi andare avanti a leggerlo.

Una volta che hai voglia di continuare a leggerlo, devi però farti un bell’esame di coscienza e chiederti:

  • Hemingway -> se non fosse una leggenda della letteratura, mi piacerebbe lo stesso?
  • Umberto Eco -> Se non fosse osannato da tutti, me ne fregherebbe qualcosa dei problemi di quei frati nel Medioevo?

Se uno scrittore/scrittrice scrive un genere che non ti piace, ma hai comunque voglia di andare avanti a leggere, allora vuol dire che quell’autore o quell’autrice scrive davvero bene.

Se addirittura uno/a scrittore/scrittrice scrive un genere che non ti piace, non l’hai mai sentito/a nemmeno nominare, ma non riesci comunque a mollare il suo romanzo, allora è decisamente un/una fuori classe, perché ti ha preso solo grazie alla sua penna e nient’altro.

Tutto quello che stai provando, se l’é guadagnato con le unghie e coi denti.

Le aspettative, invece, cambiano tutto.

Quando il mondo intero dice che uno scrittore è un genio, che una scrittrice è divina, tu li leggi con un atteggiamento completamente diverso, lasci che entri dentro di te molto di più, rispetto a un estraneo.

Un altro fenomeno che dimostra quello che le università sanno già da un pezzo?

I miei lettori.

I miei lettori sono dei gran personaggi. Fino a quando non sanno chi sono, che faccia ho, come parlo, cosa mangio, dove vivo, ecc. mi adorano.

Molti lettori della saga di Year One mi hanno scritto per dirmi che lo ritenevano un capolavoro, pensavano che io fossi una specie di essere soprannaturale.

Poi, però, rovino tutta la magia.

E la rovino perché rispondo, li ringrazio, ci scambio quattro chiacchere.

Ed è lì che il più delle volte casca tutto.

È una cosa stranissima.

E più rispondo volentieri e con attenzione, più alcuni restano proprio delusi. È come se pensassero che io ero qualcuno.

Fino a quando non gli ho dedicato troppo del mio tempo.

O forse è perché vedono che sono un normalissimo essere umano, esattamente come loro.

E allora si rompe qualcosa, nella loro testa. Perfino i miei romanzi, a quel punto, gli piacciono di meno. Sul serio. Dopo che mi hanno conosciuto, i toni si smorzano della metà.

Un altro esempio?

I miei amici.

Nessuno di quelli che mi conosce di persona è mai impazzito fuori misura per quello che scrivo.

Non puoi adorare un autore quando lo conoscevi già come compagno di bevute, di passeggiate o di cazzeggio. Se sai cosa mangia, cosa beve, come parla, cosa fa o cosa non fa, non puoi idolatrarlo.

Pensateci bene: se tu avessi passato l’infanzia nel parchetto sotto casa a giocare a calcio con Stehen King, lo reputeresti un genio?

No.

Lo reputeresti quello che giocava a calcetto insieme a te e poi è diventato famoso. Tutto qui.

CONCLUSIONE

Le aspettative determinano un buon 50% del risultato finale. Il resto lo fa la capacità dello scrittore o della scrittrice di superare i tuoi gusti personali e i tuoi pregiudizi.

In definitiva, secondo le case editrici, un autore o un’autrice scrivono bene quando ti viene voglia di andare avanti a leggerli. Fine della storia.

Ora, voi potete condividere o meno questo pensiero.

Sappiate, però, che i professionisti dell’editoria usano questa dottrina, mentre cercano di portare a casa lo stipendio

E se ci riusciranno o meno, dipende dal fatto che abbiano ragione o no.

E quindi, secondo me, sono quelli che ne sanno di più di queste cose.

A mio modestissimo parere, ovviamente.

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